Descrizione
Alcuni rinvenimenti di manufatti in ossidiana e in selce, effettuati nell'area di Sant'Elia e sul Cozzo Leone, fanno pensare che insediamenti umani si stabilirono in questo sito già a partire dal V millennio a.C., occupando le alture che consentivano il controllo visivo del territorio sottostante; tuttavia, non sono da escludere stanziamenti nelle zone più basse (lungo la fascia litoranea ricca d'acque sorgive) in prossimità delle aree utilizzate per la coltivazione.
I probabili nuclei costieri di Cirò sono da considerare nel loro stretto rapporto con il mare, con la navigazione e quindi con il commercio marittimo (l'ossidiana, infatti, proveniva con molta probabilità da Lipari). Altri ritrovamenti, inoltre, documentano come questa zona sia stata popolata dall'Età del Bronzo e del Ferro. Quanto è stato scoperto basta a dimostrare che Cirò superiore fu popolato, fin dal IX secolo a.C., da un gruppo d'indigeni affini a quelli di Locri e Torre Mordillo.
Le testimonianze d'Età greca offrono un quadro interessante sull'incontro, a partire dalla seconda metà del VII secolo a.C, fra gli abitanti del luogo e i coloni greci (quasi certamente crotonesi). Tale incontro ebbe un carattere non violento, anzi la componente indigena pare avere assorbito presto costumi, rituali e oggettistica di derivazione greca. In questo senso molto interessante è l'area funeraria di Sant'Elia che insieme ai siti di Taverna (Cirò Marina), Cozzo Leone, Serra Sanguigna e soprattutto il santuario d'Apollo Aleo a Punta Alice, appaiono come avamposti della grecità crotoniate.
A partire dalla metà del IV secolo a.C. sui rilievi collinari si nota la forte presenza di una popolazione connotabile come brettia (gruppo italico che le fonti letterarie fanno discendere dal ceppo sannitico) disposta in tanti piccoli villaggi, tipica organizzazione, questa, della società agreste e pastorale dei Brettii. In anni passati sono stati individuati in località Malocutrazzo, nel territorio di Cirò, alcuni siti funerari riferibili a questo popolo.
In Età romana, rispetto al periodo brettio, si nota una diminuzione della quantità degli insediamenti; questo fattore viene tradizionalmente interpretato come legato ad un calo demografico, forse a causa di una concentrazione della proprietà fondiaria.
Proprio nei pressi del fiume Lipuda, sulle pendici meridionali e orientali della collina denominata Monte Anastasia, sarebbero stati rinvenuti resti d'epoca romano-imperiale relativi a una villa o forse a un piccolo villaggio. L'ubicazione di questa struttura corrisponderebbe alle caratteristiche indicate da Catone nell'acquisto di un fundus. Lo scrittore latino consigliava di scegliere un sito caratterizzato da clima buono e terra fertile, posto possibilmente ai piedi di un'altura e volto verso mezzogiorno, nei pressi di buone vie di comunicazione terrestri, marittime e anche fluviali.
Per avere un'idea dell'attuale insediamento di Cirò, detta anche Ypsicron, Ipsicrò, Psigrò, Zirò, Cerre e Cire, occorre giungere fino al XII secolo. Il passaggio dal dominio bizantino a quello normanno fu reso difficile e complicato dalla forte rivalità tra Roberto e Ruggero, i due fratelli d'Altavilla (protagonisti della disfatta delle milizie bizantine), e dopo di loro, tra i successori, anche quando venne fondato il potere monarchico del Regno di Sicilia. La popolazione calabrese, approfittando dei conflitti intervenuti all'interno della classe dominante normanna, si oppose al versamento di tributi ed all'obbligo del servizio militare imposto dai conquistatori. Ma gli Altavilla seppero anche fondere le proprie ambizioni con le esigenze della popolazione indigena. Così, ad esempio il proposito di concorrere alla conquista di luoghi santi coinvolse la società calabrese. L'attenzione dei Normanni per questi eventi non può essere messa in dubbio. Lo dimostra la donazione di alcuni beni che Riccardo Senescallo, figlio del conte Drogone e nipote di Roberto il Guiscardo, fece, nel 1115, a Raimondo abate del monastero di San Salvatore di Monte Tabor. Costui aveva espresso il desiderio di aprire lungo il litorale ionico, in diocesi di Umbriatico, una "mansio" da servire a crociati e pellegrini. Senescallo, dunque, dispose del territorio di Cirò come dominus loci, nell'ambito di una giurisdizione frastagliata e discontinua quale fu quella che connotò il potere della seconda generazione normanna.
Presto, il nuovo ceto feudale acquisì in tutto il regno solide posizioni; non diversamente avvenne nel territorio cirotano, per il quale le fonti documentano una signoria feudale autonoma affidata a Roberto dominus de Ypsigro, padre di Giovanni, che nel 1205 sottoscrisse un atto a favore del monastero florense di Fontelaurato. Secondo fonti fiscali, nel 1276, quando il villaggio era sotto il dominio di Rinaldo di Cirò (un feudatario che oltre ad essere il dominus della cittadina, possedeva il casale di Crepacore nei pressi di Corigliano), il paese aveva una popolazione di 3.616 abitanti, ai quali bisogna aggiungere i 1.216 residenti nel citato casale, in gran parte dediti alla pastorizia e all'agricoltura. Dagli insediamenti costieri salpavano esperti pescatori ed abili marinai-mercanti che creavano uno stretto rapporto con i porti pugliesi e con quelli della costa tirrenica, in cui portavano i frutti, già allora preziosi, delle colture cirotane.
Con il passare del tempo avvenne una fusione fra i membri della popolazione normanna e quelli della popolazione indigena, si andava così delineando un nuovo volto della Calabria, sulla quale la chiesa romana era tornata a esercitare il dominio patriarcale e giurisdizionale.
A partire dalla fine del Trecento, la cittadina entrò a far parte del grosso aggregato feudale denominato marchesato di Crotone ed intestato a Nicolò Ruffo (uno dei protagonisti coevi della storia del Regno di Napoli in Età angioina). Cirò (come è dimostrato anche dalla presenza di una numerosa comunità ebraica), occupava nell'ambito del marchesato, una posizione produttiva e commerciale di rilievo. La cittadina, infatti, svolgeva il ruolo di importante scalo marittimo nella direttrice Reggio Calabria, Crotone, Taranto. Tale ruolo, nel contesto del grande aggregato feudale, venne meno con la crisi del potere dei Ruffo a metà Quattrocento, per cui Cirò venne dapprima assegnata al demanio regio, poi (nel 1496) fu acquistata per novemila ducati da Andrea Carafa, conte di Santa Severina.
Nella nuova situazione, e per tutto il Cinquecento, la cittadina espresse una discreta vitalità. La sua popolazione aumentò, passando da circa 2.000 abitanti a 2.500, crescita questa che può essere considerata poco adeguata rispetto alle potenzialità produttive del territorio. Tra i fattori che in Età moderna contribuirono in parte ad impedirne la mancata crescita, bisogna annoverare le incursioni dei turchi, e soprattutto l'oppressione feudale che, nella prima metà del secolo, ne controllò e sfruttò la vita civile, impedendo all'economia locale di svilupparsi a pieno. In particolare, i Carafa, sia per l'esigenza di difendere la costa ionica dalle possibili invasioni turche, sia per la necessità di rafforzare il dispositivo di controllo militare del feudo di cui erano titolari, intervennero a Cirò completando, e in parte probabilmente innovando un solido sistema difensivo, con il massiccio castello (di cui vi è già traccia in un'antica documentazione quattrocentesca), attorno al quale sorge oggi la cittadina. L'azione di trasformazione urbana, voluta dai Carafa, proseguì con la creazione di una cinta muraria difensiva (che aveva nelle quattro porte d'ingresso al centro urbano il suo punto nevralgico), e con altre strutture militari alla Marina. Questi apparecchiamenti trovavano, come già sottolineato poc'anzi, giustificazione nella necessità di difendere la città dalle scorrerie turche. Le mura difensive, come si dimostrò ripetutamente nel corso dell'Età moderna, non furono in grado di contrastare le incursioni ottomane. Esse, invece, ebbero l'effetto di esercitare un ferreo controllo sulla popolazione. Non mancarono, tuttavia, episodi che testimoniarono buoni rapporti tra esponenti del ceto intellettuale cittadino, quali Gian Teseo Casoppero, e gli stessi Carafa. Si deve inoltre a questi ultimi, la costruzione di una nuova cinta muraria, con quattro porte d'ingresso al centro urbano.
La crisi finanziaria della dinastia portò i Carafa a disfarsi del feudo che verme acquistato da Pietro Antonio Abenante, il quale giunse in città per esercitarvi direttamente il ruolo feudale. I pessimi rapporti che si stabilirono con i cirotani rimasero inalterati per decenni e alla fine 1'Abenante, sospettato di eresia (anche sulla base di denunzie provenienti dai suoi vassalli), dovette abbandonare la signoria feudale. Cirò nel 1571 venne così acquistata per 35.000 ducati da Giovan Vincenzo Spinelli, appartenente a una delle maggiori famiglie feudali del regno, la cui stirpe ebbe un ruolo rilevante nella storia del Mezzogiorno moderno. Ovviamente il feudo cirotano si avvantaggiò e non poco della nuova condizione all'interno dell'aggregato dei principi di Tarsia (titolo che gli Spinelli, nel 1606, avevano aggiunto a quello di marchesi in seguito all'acquisto di quella terra). Poiché questi signori risiedevano a Napoli, a partire dalla fine del Cinquecento la città di Cirò poté stabilire rapporti sempre più intensi con la capitale medesima. La sua popolazione, infatti, incrementò le attività produttive. Il vino, i formaggi e l'olio trovarono un mercato assai cospicuo nella capitale, grazie anche ad un sistema di trasporto via mare che si potenziò proprio per merito degli Spinelli. Il nuovo fervore ebbe effetti positivi all'interno dell'intera comunità, che ne fu favorevolmente stimolata.
Se per un lungo periodo la vita municipale risultò governata dai soli esponenti del ceto nobiliare locale, a metà del Seicento (in corrispondenza con le sommosse degli anni di Masaniello) anche a Cirò la classe meno abbiente si rivoltò contro la gestione municipale. Dopo la repressione della sommossa, il principe di Tarsia volle modificare il sistema di governo cittadino aprendo la gestione alla partecipazione degli esponenti del popolo.
Tra la fine del Cinquecento e l'inizio del Seicento la vita cittadina vide il rafforzamento notevole del clero secolare e regolare. Il numero dei conventi passò da 1 a 4; nel 1696 nella sola parrocchia di S. Maria de Plateis ben 30 sacerdoti esercitavano il servizio religioso. La presa del clero sulle risorse del territorio divenne assai forte, per cui non mancarono gli episodi di scontro con gli abitanti del centro urbano su problemi che la popolazione riteneva di vitale importanza, come il pagamento delle decime. Nel corso del XVIII secolo, tutti i fermenti in atto nella vita cittadina produssero novità importanti. La rinnovata partecipazione popolare alla vita municipale, sulla quale la giurisdizione feudale cercò sempre di intervenire per limitarne i margini di autonomia, prese coscienza di quelli che considerava i due fattori limitativi della crescita civile: da una parte, la presenza di un clero pletorico che ne assorbiva energie economiche vitali; dall'altra, lo sfruttamento delle risorse produttive del paese da parte degli Spinelli. Nacque perciò, nell'ambito del ceto dirigente cittadino, un partito demanialista, che sostenne lotte molto dure, sia per rivendicare la cessazione della presa fiscale del clero sull'economia, sia per contestare le pretese dei principi di Tarsia sul piano politico e civile. I capi di questo partito erano uomini come Giuseppe Balsami, Mattia Chiaramonti, Giovanni e Francesco Franza, Giuseppe Vergi, Paolo Vitetti. A partire dalla metà del secolo, il riformismo del governo borbonico ebbe effetti positivi. Venne ridotto, infatti, il ruolo degli ecclesiastici secolari e regolari e tutti i conventi cittadini vennero soppressi. I feudatari invece, sulla spinta di suggestioni del pensiero riformatore meridionale (verso il quale gli Spinelli dimostrarono aperture), avviarono una politica di modernizzazione produttiva nelle campagne e verso la marina. In questa direzione si spostò risolutamente il baricentro degli interessi produttivi sia del feudatario che delle maggiori famiglie proprietarie. La città partecipò, perciò, in maniera inaspettata alle vicende del 1799 (in paese operarono infatti gruppi di rivoluzionari, intenzionati a mutare con violenza, sull'esempio della coeva rivoluzione francese, la forma dello stato borbonico in cui non si riconoscevano più), aderendo alla repubblica giacobina anche in virtù delle pressioni esercitate dalla stessa principessa di Tarsia, concorde con il nuovo indirizzo politico.
Con la restaurazione borbonica del 1815, la città entrò a far parte della provincia di Catanzaro. A1 suo interno maturarono importanti trasformazioni sociali. Da una parte, con l'abolizione del feudalesimo, si rafforzò un ceto di proprietari borghesi che divenne sempre più il protagonista della vita municipale. Esclusa (dal regno borbonico) dalla partecipazione alla vita politica nazionale napoletana, in seguito ai due tentativi falliti del 1821 e 1848 di dare una svolta costituzionale alla gestione del Regno delle Due Sicilie, la borghesia si orientò sempre più radicalmente verso l'adesione ai nuovi valori risorgimentali, di lotta per una Italia unita. Dall'altra, il ceto dei contadini e degli artigiani pose con forza il problema delle terre demaniali che, per buona parte, venivano gestite dal ceto proprietario attraverso il controllo del municipio. L'avvio di soluzione del problema avrebbe comportato, con il trasferimento alla Marina di molti nuclei familiari di contadini assegnatari, il punto di svolta della nascita di una nuova comunità a valle di Cirò. Non casualmente, appena all'indomani dell'Unità, l'inizio di una fase più distesa nei rapporti sociali fu favorita dalla decisione di quotizzare alcuni terreni demaniali, assegnandoli ai contadini indigenti. Questa partecipazione dei ceti popolari alla trasformazione produttiva del territorio cirotano venne testimoniata altresì dalla nascita, nel 1859, di una Cassa popolare di prestanze agrarie a favore degli agricoltori in difficoltà.
Ma il problema dell'ampliamento delle strutture produttive, che indubbiamente venne realizzato dopo l'Unità, non era l'unico a caratterizzare la vita cirotana. Legato a questo c'era quello relativo alla scarsità di risorse finanziarie pre senti sul territorio (d'altra parte, non sempre le maggiori quantità di prodotto potevano trasferirsi sul mercato). Da qui la povertà diffusa tra i contadini cirotani, la scarsezza della base imponibile delle finanze comunali, l'insufficiente modernizzazione sul piano dei servizi civili (acquedotto, fognature, illuminazione pubblica, ecc.) che caratterizzava il paese alla fine dell'Ottocento. Questo vero e proprio circolo chiuso dell'arretratezza iniziò ad attenuarsi grazie al fenomeno dell'emigrazione all'estero. Questa a sua volta si tradusse in un importante trasferimento a Cirò di risorse finanziarie provenienti dalle rimesse. All'inizio del Novecento, inoltre, il paese partecipò a quel vasto movimento di protesta antigovernativa nota come la lotta per la "Pro Calabria". Il movimento, infatti, mirava a ottenere risorse aggiuntive dello stato da investire in opere pubbliche (strade, ferrovie, acquedotti, ecc.). In effetti, anche a causa di importanti eventi sismici che afflissero la regione, la legge venne approvata e cospicui fondi furono messi a disposizione dei comuni della regione. Così Cirò fu in grado di realizzare importanti progetti. Tra le più attese dalla popolazione vi fu sicuramente la nascita degli acquedotti per il centro storico e per la Marina. Lo scoppio della Prima guerra mondiale, però, ne rinviò al decennio successivo la realizzazione. Nel frattempo la partecipazione dei cirotani al conflitto mondiale si trasformò, nell'immediato dopoguerra, in un nuovo vigoroso movimento per l'occupazione delle terre demaniali e di quelle incolte. Era emerso nell'ambito del paese un gruppo di ex combattenti, che trovò in Luigi Siciliani (un intellettuale nazionalista molto noto sul piano nazionale) un importante punto di riferimento. Nacquero delle cooperative, sulla base di una decretazione nazionale, che ottennero in concessione una certa quantità di terre distribuite e messe a coltura dai soci. In questo periodo emerse la figura del sindaco Francesco Fortunato, che operò per migliorare le condizioni igieniche dell'abitato e il tenore di vita dei ceti meno abbienti. Il nuovo orientamento di Siciliani sul piano nazionale e il suo avvicinamento al fascismo, portò a nuove fratture politiche all'interno di Cirò. Nacque, infatti, un'opposizione al sindaco Fortunato guidata da esponenti della famiglia Siciliani, che facilitò non poco l'adesione al nuovo regime da parte del ceto dirigente locale. Durante il ventennio, furono eseguite buona parte di quelle opere pubbliche progettate in Età giolittiana (tra di esse il completamento della strada Cirò-Umbriatico che ruppe definitivamente l'isolamento del vecchio centro urbano). La questione sociale venne naturalmente rimossa dal dibattito politico locale, ma si ripresentò con forza all'indomani della caduta del fascismo, quando i contadini di Cirò furono tra i primi a riprendere la lotta per la terra. Questa volta il movimento fu guidato dai nuovi quadri del partito comunista, che espressero una forte capacità di mobilitazione per almeno un quinquennio (1943-1948). I risultati politici si videro nel referendum del 2 giugno 1946, quando a Cirò la repubblica (in controtendenza rispetto al Mezzogiorno) vinse con 2.618 voti sui 2.251 espressi per la monarchia. La nascita del nuovo sistema politico risentì del diverso clima sociale e, oltre al Pci assai forte localmente, anche il partito della Dc ebbe un suo radicamento nel mondo contadino. Nel frattempo maturarono le condizioni perché la Marina, che aveva una popolazione più numerosa di Cirò, venisse staccata dal centro antico; separazione consensuale che si verificò con delibera del 31 dicembre 1951 da parte del Consiglio comunale di Cirò. Intanto la legge di Riforma agraria aveva coinvolto un paio di centinaia di famiglie contadine del Cirotano nell'assegnazione dei poderi. La riforma creò organi di assistenza e di finanziamento sia per i contadini assegnatari, sia per le aziende agricole presenti sul mercato, e poiché esse erano gestite da esponenti democristiani, la Dc riuscì a creare a Cirò una struttura associati va altrettanto massiccia di quella creata nel corso delle lotte contadine dal Pci. Da qui la singolarità del sistema politico cittadino, che nel secondo dopoguerra, in controtendenza rispetto al paese, operò in regime di bipartitismo con una dialettica politica che consentiva all'opposizione di diventare maggioranza e viceversa. Una eccezione, temporalmente limitata, si ebbe invece nel decennio1982-1992, quando il sistema politico locale sembrò omologarsi a quello assai disgregato del resto d'Italia.
Personaggi
Alla storia di ogni paese sono legati molti nomi di personaggi, uomini da non dimenticare, a volte conosciuti ed apprezzati anche fuori della loro terra, a volte no, ma non per questo meno validi, uomini illustri che hanno fatto la storia e continuano a scriverla giorno per giorno. Eroi di ieri ed eroi di oggi, insigni personalità, da serbare come modelli da imitare.
Ilio Adorisio
Ingegnere, matematico, sociologo, considerato uno degli esponenti più autorevoli a livello europeo del moderno pensiero antieconomico. Nacque i125 aprile 1925. Si laureò a Bari nel 1950 in Ingegneria dei trasporti e iniziò la sua carriera progettando lunghi tratti dell'autostrada Salerno-Reggio Calabria (progettò anche le reti viarie di numerosi Paesi esteri). Fu promotore della Sauti, la Società italiana di ingegneria. Nel 1957 ottenne la cattedra di economia dei trasporti a Bari; nel 1964 fu professore ordinario di tecnica ed economia dei trasporti a Cagliari ed, in seguito, a L'Aquila. Ebbe anche un'intensa attività come consulente economico. In questo senso, infatti, prestò la sua opera per la Banca Mondiale (dal 1958 al 1974) e per il comitato scientifico dell'Istituto internazionale delle comunicazioni di Genova. Nel 1973 fondò la Sotecni, società di progettazione del gruppo Iri-Italstat, tuttavia non abbandonò mai la carriera universitaria. Nel 1980, infatti, fu professore ordinario di economia matematica a L'Aquila e nel 1982 a "La Sapienza" di Roma. Le sue lezioni universitarie di economia si trasformarono ben presto in un originale e seguitissimo corso di antieconomia, "Antieconomico" era infatti il titolo della rubrica che ogni settimana firmava sulle pagine del quotidiano "Il Manifesto". Scrisse molti testi universitari tra cui: "Lezioni di economia matematica", "Meccanica della locomozione terrestre", "Max in analisi convessa". Di Adorisio sono state pubblicate anche due opere teatrali: "La sceriffà" e "Come un processo", che fu rappresentata a Roma, nel 1989, al Teatro dell'Orologio. Morì nella capitale il 6 settembre 1991. A lui è stato intitolato il Liceo scientifico di Cirò.
Giovan Battista Agrippa
Umanista del XVI secolo. La sua memoria fu onorata da Girolamo Ruscelli e Ludovico Dolce. Di lui esistono un epigramma, cinque sonetti e cinque ottave.
Giulio Aromolo
Saggista e storico nato nel 1892. Uomo di scuola, fu a lungo docente e preside in varie parti d'Italia. Noto per la sua produzione di tragedie, come "La marcia di Ronchi" (in ricordo della spedizione che, al comando di Gabriele D'Annunzio, occupò Fiume, città della Croa ' e di opere, storiche, soprattutto quelle a carattere locale, a cui dedicò svariati saggi, occupandosi in particolare delle figure di alcuni suoi illustri concittadini (Luigi Lilio, Gian Teseo Casoppero, Elia Astorino e Luigi Siciliani). Morì nel 1964.
Elia Astorino
Filosofo e matematico, medico, teologo, astronomo e glottologo. Nacque probabilmente nel 1651. Fu un intellettuale di fama europea, che fece delle contraddizioni della sua epoca la ragione stessa della sua vita. Vestì giovanissimo il saio dei Carmelitani Scalzi, ma dopo avere abbandonato le tesi aristoteliche venne emarginato e per sfuggire all'inquisizione, alla fine, emigrò all'estero. Dopo complesse esperienze culturali, chiese di essere riammesso all'ordine. Pubblicò numerose opere, tra le quali gli "Elementa Euclidis ...". Morì nel 1702 a Terranova di Sibari.
Salvatore Astorino
Nacque nel 1907. Meccanico di provata abilità, ideò e brevettò insieme un sistema di carburazione ad alcol idratato che poteva essere utilizzato su tutti i motori a scoppio e che poteva permettere un risparmio di benzina. Durante la Seconda guerra mondiale aderì al movimento partigiano e si distinse in azioni di salvaguardia dagli attacchi dei tedeschi a favore dei cantieri di lavoro presso cui operava.
Gian Teseo Casoppero
Umanista di buona notorietà, nacque il 10 aprile 1509. Fu maestro di Lilio. Di lui si sa che si laureò all'università di Padova nel 1537, poi scomparve. Di particolare interesse la produzione in versi (alcune sue opere sono dedicate a Cirò): "Sylvae", "Amorex" e il suo epistolario.
Mattia Chiaramonti
Sindaco della città nel Settecento. Fu una delle guide più prestigiose del movimento demanialista antifeudale.
Luigi Giglio, Lilio
Medico, astronomo e matematico. Nacque nel 1510. È noto soprattutto come l'autore della proposta di revisione del calendario, presentata e accettata dalla Congregazione degli Astronomi, che diede luogo alla riforma Gregoriana. È suo merito quello di avere ricondotto, recuperando i ritardi accumulati nei secoli dal calendario Giuliano, l'equinozio di primavera al 21 marzo e di essere riuscito a coordinare l'anno lunare con l'anno solare. Studiò medicina e astronomia a Napoli con il fratello Antonio. Non essendo, però, la sua famiglia in grado di mantenerlo agli studi, fu costretto a trovare impiego presso il principe Carafa, feudatario di Cirò. Non si conoscono informazioni più precise sulla sua vita, a parte una lettera a lui scritta nel 1532 dall'umanista cirotano Gian Teseo Casoppero, il quale lo esortava a non abbandonare gli studi. Pare, comunque, che Luigi abbia insegnato medicina a Verona e a Perugia e che, a un certo punto della sua vita, si sia trasferito con Antonio a Roma dove frequentò l'Accademia "Notti Vaticane" (sodalizio di studiosi fondato dal cardinale di origine calabrese Guglielmo Sirleto e dal cardinale Carlo Borromeo). La commissione pontificia (di cui fece parte anche il fratello), istituita da Gregorio XIII per vagliare le varie proposte di riforma del calendario, prese in grande considerazione gli studi di Lilio, ritenendoli i più soddisfacenti alle necessità della revisione. Lo scienziato cirotano morì nel 1577, cinque anni prima della promulgazione della riforma. Di lui resta un piccolo opuscolo di 24 pagine ("Compendium novae rationis restituendi kalendarium") fatto stampare a Roma dalla commissione nell'anno della sua morte.
San Nicodemo
Il santo nacque il 12 maggio del 900. Giovane, lasciò la casa di via Casoppero per indossare il saio dei Basiliani pare nel monastero locale di San Nicola in Salica. Presto decise di partire, per vivere da eremita sulle montagne di Mammola dove morì i125 marzo del 990. Questo Comune ha donato a Cirò una targa per ricordare il primo millennio della morte del santo (990-1990).
Giovan Francesco Pugliese
Storico, nacque nel 1789. Scrisse "Descrizione ed istorica narrazione dell'origine e vicende politico-economiche di Cirò".
Tutti gli studiosi che hanno effettuato pubblicazioni sui fatti economici della Calabria nordorientale dell'Ottocento, hanno fatto e continuano a fare riferimento a questi due volumi. Morì nel 1855.
Francesco Sabatini
Nacque il 22 febbraio 1888. Durante la Prima guerra mondiale conquistò sul campo tre medaglie di bronzo al valore militare. Fu una delle maggiori personalità cirotane del suo tempo, sia per la personale conoscenza dei problemi dell'agricoltura meridionale, sia per il contributo dato alla vita politica di Cirò durante il fascismo (fu podestà dal 1935 a11944). Morì i121 febbraio 1965.
Domenico Siciliani
Nacque nel 1880. Frequentò l'Accademia militare di Modena e la Scuola superiore di guerra a Torino. Si distinse durante la prima guerra mondiale conquistando una medaglia di bronzo al valore militare. Promosso colonnello a 37 anni, fu destinato al comando supremo del Regio Esercito. Nominato capo dell'Ufficio stampa e propaganda, redasse il 4 novembre 1918 lo storico "bollettino della vittoria" firmato da Armando Diaz. Finita la guerra, fu addetto militare a Rio de Janeiro (1924) e governatore della Cirenaica (1929-31). Prese parte alla guerra d'Etiopia e nel 1936 comandò il Corpo d'Armata di Roma. Morì nel 1938.
Luigi Siciliani
Scrittore e poeta, nacque nel 1881. Si laureò in Legge e in Lettere all'università di Roma. È stato sicuramente il maggiore intellettuale cirotano del XX secolo. A Milano fondò il settimanale "Il tricolore" e, insieme a un gruppo di amici, nel 1910, l'Associazione nazionalista. Ebbe un'importante produzione letteraria e poetica (era molto legato a Pascoli) e fece parte del governo nazionale anche nel primo gabinetto Mussolini. Fu sottosegretario di Stato alle Belle Arti (1922-23). Tra le sue opere: "Giovanni Francica" (romanzo a sfondo autobiografico edito nel 1910), "L'Altare del Fauno", pubblicato nel 1923,"Canti pagani e altre poesie classiche". Morì a Roma nel 1925.